La Garzanti riscopre i racconti di Truman Capote. Ragionevolmente crudele, lucidamente insidioso, irremovibile nel proposito
di far crollare ad una ad una le confortanti certezze della ricca borghesia americana postbellica, Truman Capote affascina, seduce, incanta: i suoi ventuno racconti che compongono “La forma delle cose” (Garzanti, 2007) sono violenti quanto basta, a tratti misericordiosi, raramente smisurati. Geneticamente incline a non oltrepassare mai il limite delle buone maniere, le sua “forma delle cose” è tutta racchiusa in una serie d’implacabili istantanee, raggelata nel suo farsi e disfarsi attraverso lo sguardo abusante e circospetto del perfetto narratore.
Dai primi racconti degli anni Quaranta, come “Le pareti sono fredde”, “Un visone tutto suo”, “La forma delle cose”, “Miriam” a quelli successivi degli anni Cinquanta e Sessanta, come “L’occasione”, “Un ricordo di Natale”, “Fra i sentieri dell’Eden”, il mondo di Capote è un susseguirsi, senza respiro, di personaggi insoliti, irrisolti, spaventati, oppure, al contrario, dotati di misteriosi e straordinari talenti, come il piccolo Appleseed de “Il boccale d’argento”, capace d’indovinare, senza contarli, il numero infinito di nickel all’interno di un barattolo, o come Miss Bobbit, che ha stretto un patto col diavolo, per far innamorare di sé tutti gli uomini del villaggio.
Ad attenderli c’è spesso un amaro destino, messo lì, quasi per caso, da un’America disperata ed inconcludente, tragicamente dilaniata dalla vacua inconsistenza dell’effimero, resa inerme dalla costituzionale propensione all’autodistruzione. Come nel caso della signora Munson di “Un visone tutto suo”, finita incautamente vittima di un’ astuta approfittatrice, o come nel caso della signora Chase de “L’occasione” irretita dagli obblighi nefasti della compiacenza. Personaggi spesso senz’anima, o che di anima ne hanno troppa, e che non esitano a condividerla imprudentemente con malefici impostori, o a lasciarla incustodita ai margini dell’esistenza. Mutevole, ambigua, ingannevole, “La forma delle cose” di Capote è quanto di più inafferrabile esista, incapace di sottrarsi al vincolo dell’incessante metamorfosi, incredula di fronte alla disperata fissità della morte. Interprete originale delle atmosfere gotiche e surreali della provincia americana, per Capote vale quanto insegna Carver a proposito della riuscita di un buon racconto, “ci deve essere della tensione, il senso che qualcosa sta per accadere, che certe cose si sono messe in moto e non si possono fermare …. creano tensione anche le cose che vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto …”. Avido ed insaziabile consumatore della vita, (come un avvoltoio, racconta lui stesso in un’intervista), darwinista per vocazione più che per scelta, Capote, in questi racconti, cinque dei quali inediti, lascia malinconicamente che siano le cose stesse a parlare e a persuadere il lettore scettico che la scrittura sia, in fondo, l’unica forma possibile di esorcismo dai propri demoni. Autore: Truman Capote Editore: Garzanti Anno: 2007 Genere: racconti
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